martedì 9 giugno 2009

CHE COS'E' LO STRESS?

Che stress! Sono stressato! Questo mi stressa! Quello è stressante... stress, stress e ancora stress! Oggi se ne parla in continuazione, ma ad un uso tanto inflazionato non corrisponde un'idea chiara e diffusa di cosa sia effettivamente lo stress. Già nel 1973, Hans Seyle, considerato il "padre" del concetto di stress, commentava che
"tutti conoscono lo stress, ma nessuno sa cos'è".
La parola stress viene dal latino strictus, che significa stretto, serrato, ma è nei paesi anglosassoni che la parola stress si diffonde maggiormente, dapprima per indicare difficoltà o afflizione, per poi fissarsi nel XIX secolo sul significato di sforzo, tensione. In ambito metallurgico, ad esempio, si era soliti "mettere sotto stress" le travi di acciaio, indicando il processo di sovraccarico con il quale se ne testava la resistenza. Il termine stress viene usato spesso indistintamente per indicare:
  1. una condizione nociva d'intensa stimolazione esterna (es. stress acustico da traffico)
  2. un vissuto soggettivo in una determinata condizione (es. il sentirsi stressati)
  3. la risposta psico-biologica di una persona ad una determinata situazione.
Gli studiosi preferiscono distinguere tra:
  • stressors - gli agenti stressogeni (cioé che causano stress) ambientali (sia di natura fisica che psico-sociale)
  • strain - condizione di tensione psico-fisica in risposta agli stressors ambientali
  • strategie di coping - modalità e strategie cognitive, emotive e comportamentali con cui "reagire", affrontare e proteggersi in una condizione di strain
Occorre sottolineare che lo stress, così come l'ansia, non è di per sé una condizione patologica o dannosa per l'organismo, ma una reazione fisiologica utile e adattiva (che ci consente cioè di regolarci e trovare un adattamento migliore) che può diventare patologica se una persona è sottoposta a più agenti stressanti in maniera intensa e prolungata senza riuscire a trovare nessuna strategia difensiva. Seyle considerava lo stress qualcosa di inevitabile, perché è la condizione umana di per sé ad essere stressante. Detto in altri termini, la vita è complicata e ci mette alla prova, ci stimola ad essere sempre vigili e attivi, ma questa è la vita. La risposta fisiologica allo stress è molto complessa e coinvolge due sistemi principali:
  1. uno comprende il sistema nervoso simpatico e la parte midollare delle ghiandole surrenali che, attraverso la produzione di catecolamine, innesca reazioni di vigilanza e attivazione
  2. l'altro è l'asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene che, attraverso la produzione di corticosteroidi nella parte corticale delle ghiandole surrenali, modula la risposta allo stress cronico
Per quanto la componente fisiologica sia alla base della reazione allo stress, questa reazione è mediata psicologicamente a livello cognitivo ed emozionale. Il nostro organismo, infatti, è tutt'altro che un'entità esposta in modo passivo a stimoli esterni nocivi. Gli agenti stressanti (gli stressors) si collocano all'interno della relazione organismo-ambiente, determinando la natura interattiva e dinamica del processo di stress, in cui va sempre considerata anche la capacità di adattamento degli individui. Noi siamo attivamente e costantemente impegnati in un rapporto d'interazione dinamica con il nostro ambiente, per cui nel processo di stress risulta di fondamentale importanza la capacità di appraisal, ovvero la nostra personale valutazione. A produrre stress, infatti, non è tanto uno stimolo stressante, quanto piuttosto l'esperienza che ne ha il singolo. E' lo strain, cioé il vissuto di tensione, soprattutto se prolungato nel tempo, a causare disagio e malessere, ma la tensione non è una conseguenza inevitabile dello stress, perché la nostra reazione è mediata da tanti fattori ed è legata alla nostra valutazione ed esperienza personali. In sostanza, lo stress è una risposta complessa che coinvolge una persona nella sua interezza: reazioni fisiologiche e ormonali, sensazioni, atteggiamenti, emozioni, pensieri, valutazioni, comportamenti, vissuti, attribuzioni di significato, nonché capacità di reagire (coping)e di attingere ed attivare le proprie risorse (resilienza). Ecco perché una stessa situazione può essere ritenuta stressante (e pertanto vissuta come tale) da alcune persone, ma non da altre. Un po' quello che sosteneva più di quattro secoli fa La Rochefoucauld in una delle sue massime:
"i beni e i mali che ci capitano non ci colpiscono in misura della loro grandezza, ma della nostra sensibilità"
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La psicologia al volante

Vi è mai capitato di stupirvi della diversità di atteggiamento di un vostro conoscente alla guida di un'auto? Oppure di dibattere se le donne al volante siano più pericolose degli uomini? Ebbene, sappiate che esiste uno specifico settore della psicologia che studia il comportamento delle persone in quanto automobilisti che si chiama psicologia viaria. Il traffico rappresenta una condizione nociva d'intensa stimolazione esterna e, come tale, è un'indubbia fonte di stress. Il fatto poi che ad esso di solito si abbinino altri stress urbani come l'eccessivo rumore e l'inquinamento ne potenzia l'effetto stressogeno. Il sommarsi dell'azione di vari elementi stressogeni ha effetti sul sistema endocrino e in particolare sulla produzione di corticosteroidi e a lungo andare, può anche causare alterazioni dell'umore, della pressione e del livello di colesterolo, nonché aumentare il consumo di alcol e sigarette. Per quanto riguarda invece gli stereotipi di genere sulla guida di uomini e donne, ci sono molti miti da sfatare. Primo fra tutti è i dati indicano chiaramente che, a parità di chilometri percorsi, tra maschi e femmine non ci sono differenze significative per quanto riguarda il numero di incidenti. Mentre per quanto riguarda la gravità degli incidenti le differenze sono molto significative. La stragrande maggioranza di incidenti gravi o mortali, infatti, è provocata da uomini e la prima causa è sempre l'eccesso di velocità, seguita da guida pericolosa (sorpassi azzardati, manovre non consentite, ecc.) e da guida in stato di ebbrezza e/o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. Le donne alla guida hanno invece incidenti di lieve entità (cioè che non provocano morti o feriti), dovuti per lo più a errori di distrazione, imperizia o indecisione. La lettura che la psicologia viaria dà di questi dati è che le donne in genere si sentono meno sicure al volante, hanno più paura della velocità e delle conseguenze delle loro azioni (ad esempio investire qualcuno). Di conseguenza sono più attente, più prudenti e più rispettose del codice della strada e dei limiti di velocità. Se hanno un incidente, di solito accade in percorsi conosciuti o nei dintorni della propria abitazione, nei quali è più facile "abbassare la guardia" e fare meno attenzione. Gli uomini, invece, hanno meno paura e molta più fiducia nelle loro capacità, si percepiscono molto più sicuri al volante e tendono pertanto ad avere una guida spericolata e meno rispettosa del codice stradale e, in particolare, dei limiti di velocità. A questo si aggiunge l'incoscienza del pericolo, la scarsa consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni e una percezione distorta di invulnerabilità e di "immunità dagli incidenti" che porta ad avere spesso comportamenti a rischio (come bere o assumere droghe prima di mettersi al volante) perché "tanto non capita a me". Gli uomini considerano la velocità più eccitante che pericolosa e hanno una percezione falsata della loro oggettiva capacità di controllo legata alla prontezza di riflessi, visto che il tempo di reazione è in media di 1 secondo (e tale resta a qualsiasi velocità si guidi). Inoltre è sempre tra gli uomini che si riscontrano maggiormente i casi di "recidiva", cioè di automobilisti multati più volte, o a cui è stata ritirata la patente, che continuano a ripetere le stesse infrazioni per cui sono stati sanzionati in precedenza. Alla base dei diversi comportamenti alla guida ci sono insomma atteggiamenti diversi che, è bene ricordarlo sempre, sono frutto di valutazioni cognitive personali e di variabili culturali e, come tali, modificabili. E questo è per l'appunto lo scopo della psicologia viaria a sostegno della sicurezza stradale: la prevenzione. Comunque, ora sapete perché gli uomini vanno a 200 km in autostrada e le donne rompono il fanaletto posteriore parcheggiando sotto casa!

Ma i neuroni specchio esistono o no?

La recente pubblicazione sull'autorevole rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America - Atti dell'Accademia Nazionale di Scienze degli Stati Uniti d'America) di un articolo del professor Alfonso Caramazza ha suscitato un acceso dibattito all'interno delle neuroscienze. Oggetto della controversia è la prova scientifica dell'esistenza o meno dei neuroni specchio nell'uomo. I neuroni specchio sono stati scoperti per la prima volta a metà degli anni novanta in un tipo di scimmie, i macachi, e successivamente ne è stata riscontrata la presenza in altri primati e in molte specie di mammiferi e uccelli. Dalla loro scoperta nelle scimmie, sono stati numerosissimi gli studi svolti a livello internazionale che hanno fornito evidenze a sostegno dell'esistenza di questo sistema neuronale anche negli esseri umani. L'onestà intellettuale della scienza deve essere mossa dallo scetticismo e dalla ricerca della confutazione (e non della validazione) delle ipotesi via via prodotte e in effetti c'è da dire che ad oggi la prova diretta e incontrovertibile dell'esistenza dei neuroni specchio nel cervello umano non è stata ancora prodotta. A parte il livore polemico che sembra ormai caratteristico del (mal)costume nazionale, la disputa è molto interessante sul piano scientifico e, per quanto un'evidenza a sfavore non implichi affatto automaticamente l'inesistenza dei neuroni specchio, l'autorevolezza di chi ha prodotto e pubblicato lo studio merita ulteriori approfondimenti. Per chi volesse saperne di più e farsi un'idea la rivista telematica di neuroscienze Brain Factor ha pubblicato nella sezione "Neuroscienze controverse" diversi articoli e interviste ai "contendenti" delle due fazioni: Alfonso Caramazza e Vittorio Gallese.

IL CONTRASTO E' FEMMINA!

Un ricercatore dell'Università di Harvard, Richard Russell, ha recentemente prodotto un interessante studio su come l'immagine del volto umano sia percepita rispetto all'attribuzione di genere. Nel suo esperimento il professor Russell mostrava due immagini con un volto in primissimo piano (dove non figuravano, quindi, né il collo né i capelli) che venivano puntualmente identificate da tutti i partecipanti una come l'immagine del viso di un uomo e l'altra come quella del viso di una donna. In realtà, si trattava della stessa identica immagine del medesimo volto, a cui era stata modificata l'intensità del contrasto grazie a un programma di fotoritocco. L'immagine più contrastata, nella quale quindi erano messi maggiormente in risalto i punti salienti della gestalt facciale (cioè occhi e bocca), veniva percepita come femminile, mentre quella più chiara e meno contrastata era percepita come maschile. Chissà se questa percezione della femminilità ha qualcosa a che vedere con la millenaria abitudine delle donne a truccarsi, (visto che il trucco, proprio come il contrasto della foto, mette in evidenza occhi e bocca). Certo è che, stando alle scoperte degli archeologi, i visi femminili vengono imbellettati da almeno 4.000 anni!

I neuroni specchio

Negli anni novanta è stata fatta una delle scoperte più importanti e rivoluzionarie nell'ambito delle neuroscienze. Si tratta della scoperta, tutta italiana, dei "neuroni specchio". Il professor Giacomo Rizzolatti dell'Università di Parma e la sua équipe, nel corso di esperimenti con le scimmie macaco, si sono accorti per caso che i neuroni localizzati nell'area visuo-motoria della corteccia cerebrale (cioé quelli legati al movimento) si "accendevano" sia quando la scimmia stava svolgendo un determinato compito, ma anche quando stava solamente osservando un'altra scimmia compiere quella medesima azione. Questi neuroni, dapprima chiamati "monkey see-monkey do" ("scimmia vede-scimmia fa"), sono stati ribattezzati "neuroni specchio" perché, proprio come uno specchio, quando osserviamo un'azione o l'espressione di un'emozione da parte di un'altra persona, noi generiamo automaticamente una sorta di simulazione incarnata, un "rispecchiamento" appunto, che riproduce in noi le stesse intenzioni alla base delle azioni o degli stati emotivi che stiamo osservando. Detta così sembra una cosa molto astratta, ma il sistema dei neuroni specchio non sarebbe altro che la base neurofisiologica della nostra capacità di metterci in relazione con gli altri. Da esso dipendono il comportamento sociale, la capacità di riconoscere le emozioni e di intuire le intenzioni che sottostanno alle azioni altrui, nonché l'empatia, ovvero ciò che ci permette di immedesimarci negli altri. In altre parole, dipenderebbe da questa specifica classe di neuroni se piangiamo perché la protagonista del film che stiamo guardando muore o se ci arrabbiamo perché un avversario ha fatto un fallo al nostro calciatore preferito. Questa reazione di risonanza emotiva è più significativa con gli appartenenti alla stessa specie ed è per questa ragione che, ad esempio, nei cartoni animati gli animali o i robot vengono antropomorfizzati per facilitare l'immedesimazione e la simpatia del pubblico (umano, per l'appunto). Noi osserviamo gli altri e ci rispecchiamo in loro, capiamo i loro stati d'animo e intuiamo le loro intenzioni e grazie a questi processi fondamentali siamo in grado di interagire con le altre persone in maniera appropriata e contestuale. I neuroni specchio sarebbero quindi basilari nella costruzione delle competenze sociali e potrebbero anche fornire una spiegazione biologica alle difficoltà relazionali che si riscontrano nell'autismo. L'individuazione dei neuroni specchio ha prodotto il fiorire di un gran numero di studi, suscitando enorme interesse anche tra i non adetti ai lavori. La portata innovativa di questo filone di ricerca è tale da andare ben oltre i confini delle neuroscienze o della psicologia, e da coinvolgere anche discipline come la pedagogia, la filosofia e l'arte. I neuroni specchio svolgerebbero infatti un ruolo primario nell'apprendimento per imitazione. Quando noi dobbiamo apprendere una sequenza di azioni, anche molto complesse, che si tratti di imparare un passo di danza o a suonare uno strumento, quello che chiediamo a chi ci insegna è "fammi vedere come fai". Per capire quanto sia più rapido e vantaggioso l'apprendimento per imitazione pensate al computer o al videoregistatore: quanto è più facile imparare le stesse cose vedendole semplicemente fare prima da un altro piuttosto che studiandole dal manuale! Nel dibattito filosofico, invece, i neuroni specchio portano un contributo innovativo per quanto riguarda il problema della coscienza e della teoria della mente. Ci sono tante cose che ancora non sappiamo sulla mente e la coscienza umane. Come le trasformazioni elettrochimiche del cervello producano l'incredibile varietà e complessità del nostro vissuto è il mistero più grande ed affascinante. Per riassumere potremmo dire che esistono due grandi filoni di pensiero: uno riduzionista, che ritiene che la mente è il cervello e uno non riduzionista, che ipotizza invece l'esistenza di processi psichici che mediano tra l'attività cerebrale e i dati di coscienza. Per quanto riguarda infine le discipline artistiche, i neuroni specchio renderebbero possibile la risonanza emotiva della fruizione di un'opera d'arte, dando una spiegazione scientifica a ciò che teatro, danza, letteratura, musica e pittura fanno da sempre: emozionarci. Per saperne di più sui neuroni specchio guarda questo video. Letture consigliate:
  • Rizzolatti, Sinigaglia, So quel che fai, ed. Raffaello Cortina, 2006
  • Rizzolatti, Vozza, Nella mente degli altri. Neuroni specchio e comportamento sociale, Zanichelli, 2007
  • Iacobozzi, I neuroni specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri, Bollati Boringhieri, 2008