- PRIMA INFANZIA - i primi tre anni di vita sono fondamentali per lo sviluppo del sè. Da un punto di vista psicologico, quello che fa la differenza è il modo in cui ci si prende cura del neonato. Avendone cura, infatti, non solo si soddisfano i bisogni fisiologici del bebè (ad esempio la fame), ma soprattutto si trasmette un messaggio relazionale che incide sulla formazione del sé del bimbo. Noi impariamo e creiamo quello che siamo nelle relazioni con gli altri: è dall'essere stato toccato, accarezzato, cullato con amore che un bimbo impara cos'è l'affetto. I bambini hanno incredibili capacità ricettive, sono come delle "spugne" che assorbono tutto quello li circonda. Se un bambino respira amore, accettazione e rispetto nel suo ambiente, crescerà con fiducia e comprensione per se stesso e per gli altri. Se invece respira indifferenza, rabbia, violenza, allora crescerà triste, pieno di paure e sensi di colpa. Come esseri umani, noi nasciamo con una propensione intrinseca a relazionarci agli altri esseri umani. I neonati mostrano da subito chiare preferenze per gli stimoli sociali (voce umana, volti, carezze, ecc.). Addirittura a soli due giorni di vita sono già capaci di imitare le espressioni (come fare la lingua o sgranare gli occhi)dell'adulto che si relaziona con loro, sebbene nessun neonato di due giorni abbia la benché minima consapevolezza di avere occhi e bocca! La cosa più importante per il benessere psico-fisico dei bimbi è quindi il come ci si relaziona con loro. Per quanto riguarda l'alimentazione nei primi mesi, l'allattamento al seno è di gran lunga preferibile, sia per le proprietà ineguagliabili del latte materno, ma soprattutto perché rappresenta un'esperienza unica di grande intimità tra mamma e neonato. Pertanto l'allattamento dev'essere facilitato e incoraggiato, dando fiducia, sostegno e un aiuto pratico alle neo-mamme. La psicologia della sviluppo si è focalizzata molto sulla relazione madre-bambino, come relazione fondamentale per il benessere e lo sviluppo armonico del bebé, ma gli studi più recenti e innovativi, come ad esempio quelli della prof.ssa Fivaz dell'Università di Losanna, prendono in considerazione "il triangolo primario", ovvero la relazione a tre madre-padre-bambino. Questo approccio offre sicuramente una visione meno riduttiva dell'ambiente relazionale del bambino, per il cui benessere è importante non solo la relazione con la madre, ma anche quella con il padre. I cambiamenti socio-culturali che hanno "liberalizzato" le cure paterne ai bambini fin dalla primissima infanzia hanno infatti grandemente valorizzato la ricchezza e l'importanza del ruolo genitoriale maschile. Oltre al rapporto con madre e padre, un altro fattore determinante per il benessere infantile è la qualità della relazione tra i genitori. Quest'ultimo aspetto è molto importante e ha a che fare con il modo in cui padre e madre condividono la responsabilità genitoriale (ad esempio sostenendosi a vicenda, collaborando e partecipando attivamente per trovare soluzioni, oppure contraddicendosi e svalutandosi l'un l'altro o entrando in competizione). Ogni genitore è diverso dagli altri e ogni coppia crea insieme il proprio modo di vivere la dimensione della genitorialità. Occorre quindi pensare che non ci sono ricette pronte e valide per tutti, ma che ognuno deve costruire insieme al partner una modalità condivisa, coerente e armoniosa di rapportarsi ai figli nel ruolo del grande-che-si-prende-cura-del-piccolo. La chiarezza dei ruoli è fondamentale, soprattutto perché la relazione genitore-figlio è, per sua natura, una relazione asimmetrica. Non ci sono due persone sullo stesso piano, come nel caso di due amici, ma c'è un grande che dà e un piccolo che prende. Occorre tenere sempre a mente che ciò di cui i bambini hanno bisogno non sono genitori perfetti, ma, come diceva il famoso psicanalista inglese Donald Winnicott, "sufficientemente buoni". Ciò vuol dire che l'importante non è non commettere errori, ma sviluppare la consapevolezza e la capacità di riparare agli sbagli, rafforzando e facendo evolvere la relazione. Ricordatevi sempre che anche i genitori crescono insieme -e grazie- ai loro figli.
- SECONDA INFANZIA - a partire dai tre anni, con la fase del "NO" e l'ulteriore sviluppo delle capacità senso-motorie, intelletive, linguistiche e relazionali, il bambino raggiunge una relativa autonomia. A quest'età si entra nella fase di sviluppo del sé narrativo, in cui cioé il bambino inizia a raccontarsi, a descriversi, a dire "io sono". Lo sviluppo infantile non è tanto il passaggio da uno stadio di crescita all'altro in tempi prefissati e uguali per tutti, ma è piuttosto, come sostiene Daniel Stern, un processo sinfonico, ovvero composto da diverse capacità che evolvono nel tempo interagendo ed influeanzandosi a vicenda in modo più o meno armonico. In particolare, lo sviluppo può essere definito come un processo olistico di cambiamento nel tempo che dipende dalle mutevoli e complesse interazioni tra fattori genetici (come la maturazione neurologica) e ambientali (quali l'apprendimento sociale, familiare e tra pari). Questo processo evolutivo si svolge in un contesto d'interazione dinamica e d'influenza reciproca tra l'organismo e l'ambiente. Dai tre ai sei anni l'importanza del gioco si fa sempre più pregnante e l'attività ludica del bambino si arricchisce con attività grafiche (dipingere, colorare, disegnare), immaginative ("facciamo finta che") e di socializzazione (gioco tra pari). Il gioco è un'attività fondamentale ed è importante che ai bambini venga lasciato il giusto tempo per dedicarcisi e che si offra loro la possibilità di variare le esperienze ludiche (giochi di movimento, di manipolazione, di esplorazione all'aria aperta). Anche lo sport a quest'età dovrebbe essere proposto come un gioco e praticato in compagnia di altri bambini, evitando forzature e spinte alla competizione. La curiosità è il motore dell'intelligenza e pertanto non dev'essere ostacolata. I bimbi sono spontaneamente curiosi di tutto ciò che li circonda, ma soprattutto sono curiosi di loro stessi, del loro corpo, di come sono fatti. Non c'è niente di malizioso, morboso né tantomeno perverso nel loro naturale desiderio di conoscersi, guardando, giocando e manipolando il proprio corpo. Tra i tre e i quattro anni i bambini iniziano inoltre ad acquisire il senso dell'identità di genere (a considerarsi cioé femmine o maschi) ed è perciò molto importante permettere loro la conoscenza e l'esplorazione del proprio corpo valorizzando in egual misura il sesso di appartenza del bambino o della bambina. Una corretta educazione sessuale ed affettiva parte proprio dal sostegno genitoriale a questo importante processo evolutivo di scoprirsi e riconoscersi maschietto o femminuccia. Per quanto spesso i genitori tendano a rimandare l'educazione affettiva e sessuale dei loro figli, in questo frangente prima s'inizia e meglio è. Insegnare ai bimbi a conoscere, amare e rispettare il proprio corpo senza vergognarsene, è di basilare importanza per il rispetto di sé. Naturalmente le informazioni e il linguaggio utilizzato devono essere appropriati all'età e alle domande dei bambini. L'educazione affettiva dei maschi è un aspetto molto trascurato dall'educazione tradizionale, ma merita un'attenzione particolare perché è la migliore forma di prevenzione contro possibili futuri comportamenti violenti (es. bullismo) oltre che lo sviluppo di disturbi psico-somatici e relazionali. Per quanto riguarda l'educazione affettiva e sessuale, genitori, nonni e insegnanti devono fare molta attenzione a non cadere in pregiudizi limitanti la libera e spontanea espressione di sé. Ad esempio, dicendo "i maschi non devono aver paura" si fa sentire "sbagliato" un bambino spaventato, colpevolizzandolo perché sente quel che sente, quando invece è perfettamente normale che i bimbi - maschi e femmine- abbiano delle paure. Sicuramente è molto più utile insegnare ai bambini a riconoscere le proprie emozioni e ad affrontare le proprie paure, dando loro affetto, sostegno e soprattutto il buon esempio. Il genitore triste o arrabbiato che, per non farlo preoccupare, dice al figlio "sto benissimo", in realtà dicendo così lo sta ingannando e confondendo, oltre a far passare il messaggio implicito che la rabbia o la tristezza sono innominabili persino con le persone più care. Ammettere il proprio stato d'animo in modo pacato, dicendo semplicemente "sì, è vero oggi sono un po' triste, capita anche ai grandi, ma dopo un po' mi passa" è molto più educativo e rasserenante. Anche perché i bambini sono molto sensibili e capaci di capire molto più di quanto gli adulti siano propensi a credere. I bambini sono sinceri e affamati di verità: se avete un'odore sgradevole vi diranno che puzzate, se avete una gamba di legno non faranno finta di niente, ma vi chiederanno incuriositi "e quella vera dove l'hai messa?". I genitori sono il primo specchio dei figli ed è dal loro modo di essere, ancora più che dalle loro parole che i bambini imparano a strutturare i propri vissuti e ad attribuire significati all'esperienza e al mondo che li circonda. La relazione deve sempre partire dal rispetto e dal riconoscimento delle emozioni, della realtà, dell'altro. Altrimenti si rischia di manipolare, mistificare, confondere. Il bambino sarà anche piccolo, ma è una persona e come tale va ascoltata e rispettata nei suoi bisogni e nelle sue emozioni. I disturbi comportamentali nell'infanzia emergono spesso nei momenti di crisi (inserimento a scuola, trasloco, nascita di un fratellino, ecc.) e sono sempre sintomatici di un disturbo relazionale. I bambini vivono ed esprimono le emozioni con tutto il corpo e quindi il corpo diventa il canale per esprimere e comunicare un disagio. I disturbi comportamentali infantili vengono definiti come la perdita parziale di una capacità acquisita in precedenza. Hanno quindi una valenza regressiva (esprimono cioè il bisogno del bambino di non crescere e di sentirsi piccolo per essere protetto e amato). I più frequenti sono: enuresi (la perdita involontaria dell'urina in bambini che hanno già acquisito il controllo sfinterico), che può essere notturna ("fare la pipì a letto") e diurna, encopresi (perdita del controllo dello sfintere anale con ritenzione fecale alternata all'emissione involontaria delle feci), onicofagia ("mangiarsi le unghie"), succhiarsi il pollice in bambini maggiori di 2-3 anni, balbuzie (disturbo nel ritmo di emissione del linguaggio con la ripetizione di alcune sillabe) in età scolare, iperattività associata a turbolenza e deficit dell'attenzione, anoressia (disturbo del comportamento alimentare che si manifesta nel rifiuto del cibo). Di questi, l'enuresi, l'onicofagia e la suzione del pollice sono i disturbi più frequenti e meno gravi, che si risolvono mostrando tolleranza e comprensione al bambino che fa la pipì a letto, evitando rimproveri e umiliazioni; fornendo al bimbo che si mangia le unghie una valvola di sfogo per esprimere la sua aggressività e a quello che si succhia il pollice più attenzione, affetto e comprensione. La balbuzie nei bambini dai 6 anni in su è determinata quasi sempre da difficoltà psicologiche come ansia, insicurezza e iperemotività e si cura abbinando a un intervento psicoterapeutico la logopedia. Nei casi invece d'instabilità psicomotoria, encopresi e enuresi, soprattutto diurna, in bambini già grandi è bene rivolgersi a uno specialista per una psicoterapia che coinvolga anche la famiglia. L'anoressia nervosa è un disturbo abbastanza raro nella prima infanzia. Quando si presenta in un neonato o dopo lo svezzamento, è sempre consigliabile chiedere un consulto specialistico sia ostetrico e/o pediatrico che psicologico. In casi così precoci l'intervento psicoterapeutico è rivolto alla madre o alla coppia genitoriale anziché al bambino.
mercoledì 13 maggio 2009
LA PREVENZIONE PSICOLOGICA NEL CICLO DI VITA III
LA PREVENZIONE PSICOLOGICA NEL CICLO DI VITA II
- NASCITA - aver trascorso una gravidanza senza complicazioni, aver ricevuto le necessarie informazioni e rassicurazioni, oltre alla conoscenza delle persone e del luogo dove si svolgerà il parto, predispongono la donna a vivere questa esperienza in modo più positivo. Inoltre, bisognerebbe scegliere un parto più dolce possibile per il nascituro, evitando luci e rumori troppo forti, sbalzi di temperatura eccessivi, azioni brusche e soprattutto il distacco troppo immediato dalla madre. A questo proposito è sempre più diffusa la pratica del "bonding", ovvero il mettere subito il neonato a contatto con la mamma. Sarebbe ideale far passare una mezz'ora prima di tagliare il cordone ombelicale per dare il tempo fisiologico al passaggio dalla respirazione ombelicale a quella polmonare. Il travaglio in acqua aiuta il rilassamento muscolare e il parto in acqua ha sicuramente il beneficio di eliminare lo shock termico del parto tradizionale. Il parto attivo viene considerato la tipologia ideale dalla moderna ostetricia perché, riducendo il tempo e la fatica della fase esplulsiva e il conseguente rischio di complicazioni e lacerazioni, è meno traumatico sia per il bambino che per la partoriente. Un caso particolare è quello dei bimbi prematuri o che per qualche malattia devono restare in incubatrice. E' fondamentale che ricevano adeguati stimoli (carezze, parole dolci, ecc.) dai genitori e dal personale ospedaliero e che non siano lasciati in uno stato di isolamento e deprivazione psicosensoriale e affettiva, che non solo rappresenta un rischio per il loro benessere psicologico, ma che ne rallenta e ne ostacola la guarigione.
sabato 9 maggio 2009
LA PREVENZIONE PSICOLOGICA NEL CICLO DI VITA I
Sebbene i primi tre anni di vita siano il momento fondamentale per la costruzione della nostra personalità e delle basi per un suo sviluppo armonico, per quanto riguarda il benessere psicologico è bene considerare la sua importanza lungo tutto l'arco della vita.
- VITA INTRAUTERINA - una gravidanza serena e vissuta avendo buone relazioni di sostegno è il primo passo per il benessere psicologico non solo della futura mamma, ma anche del bebè in arrivo. In gravidanza si devono assolutamente evitare farmaci non indispensabili, psicofarmaci, droghe, radiografie, ambienti e sostanze pericolose. Non ci si deve sottoporre a sforzi intensi e prolungati e si deve ridurre al minimo (o possibilmente eliminare del tutto) l'assunzione di fumo e bevande alcoliche. Bisogna evitare le situazioni di stress emotivo, tenendo presente che c'è una maggiore sensibilità e risonanza emotiva nelle gestanti; per cui anche guardare un film violento o leggere un romanzo noir potrebbe risultare stressante. L'utero non è un luogo silenzioso e isolato, ma un organo dove il nascituro percepisce rumori (battito cardiaco materno) e movimenti(respirazione, peristalsi, ecc), perciò qualunque alterazione significativa in questa "musica di sottofondo" (es. tachicardia) viene percepita come allarmante. Un tipico esempio è il non riuscire a dormire negli ultimi mesi di gravidanza per il troppo movimento del bambino. In realtà, il feto si dimena proprio perchè avverte una variazione "anomala" nei ritmi vitali della madre (quando si passa dalla veglia al sonno, infatti, il respiro rallenta e tutto l'organismo ha un funzionamento minimo a riposo).Il feto è in grado di sentire e riconoscere la voce della madre e quindi "parlare al pancione" è un modo per creare un contatto. Si è dibattuto molto anche su quale musica sia meglio far ascoltare ai nascituri, ma pare che, a prescindere dal genere, sia la musica preferita dalla madre ad avere gli effetti più positivi sul sistema nervoso di entrambi. E' molto importante che ci sia un rapporto positivo e di fiducia con il partner, le persone vicine e il personale sanitario che segue la donna durante la gestazione. Frequentare un corso di preparazione al parto è poi un'esperienza positiva di empowerment e di confronto tra persone che vivono la stessa esperienza. Inoltre esercizi di yoga, ginnastica dolce in acqua o massaggi possono aumentare il senso di benessere e rilassamento e contribuire soprattutto a una migliore percezione, consapevolezza e accettazione del corpo che, in pochi mesi, subisce una grande trasformazione.
La considerazione sociale dello psicologo
Io sono psicologa e psicoterapeuta. Per diventarlo, dopo il diploma, mi ci son voluti
- cinque anni di università (ai miei tempi non c'erano lauree brevi), tra l'altro a numero chiuso
- un anno di tirocinio
- l'esame di stato per l'abilitazione professionale
- altri quattro anni di specializzazione con annesso tirocinio, supervisione, formazione teorica e terapia personale (oltre naturalmente al lavoro per mantenermi agli studi di cui sopra).
Perché andare in terapia?
Perché si è alla ricerca di un equilibrio migliore, perché non si sa cosa si vuole o come fare ad ottenerlo, perché ci si sente spettatori impotenti della propria vita, perché ci si sente schiavi e non padroni del proprio tempo, perché non si hanno relazioni soddisfacenti o si ripetono sempre gli stessi errori con persone e in situazioni diverse, ma ci si rende conto della propria condizione di insoddisfazione e disagio e si è intenzionati a cambiarla e a chiedere aiuto.
Perché sono tante le situazioni stressanti e problematiche che capita normalmente di affrontare nell'arco della vita in cui si ha bisogno di sostegno psicologico: nell'adolescenza, nel lavoro, nella coppia, nell'essere genitori o nel non riuscire a diventarlo o nell'avere figli adottivi, nell'evenienza di un lutto o di una malattia grave.
Perchè ci si sente ansiosi, stressati, infelici, angosciati, depressi o si sente di non essere più quelli di una volta e di aver perso interesse per la vita, per se stessi e per gli altri.
Perchè si ha un rapporto sofferto e problematico con il cibo, il proprio corpo e l'immagine di sé, diventando ossessionati dal calcolo delle calorie e dal controllo del peso o abbuffandosi di nascosto oppure provocandosi il vomito.
Perché si soffre da tempo di disturbi fisici (mal di testa, disturbi gastro-intestinali, insonnia, dermatiti, spossatezza, impotenza, ecc.) senza che i controlli medici abbiano rilevato alcuna malattia o disfunzione a livello organico.
Perchè si svolge un lavoro che espone in maniera prolungata ad alti livelli di stress, e quindi al rischio di burnout (sindrome caratterizzata da sensazione di "esaurimento emotivo", scarso rendimento, perdita di motivazione sul lavoro e depersonalizzazione che colpisce soprattutto le professioni socio-sanitarie e gli insegnanti).
Perché si è vissuto un evento traumatico (un'incidente stradale o una calamità naturale come il terremoto) o una condizione persistente di notevole stress emotivo (ad esempio una separazione conflittuale durata anni) o deprivazione (come un'ospedalizzazione prolungata).
Perché si è oggetto di atti persecutori (stalking), o di abusi e maltrattamenti sul lavoro (mobbing) oppure in famiglia (violenza domestica).
Perché, infine, si abusa di sostanze come l'alcol o le droghe o si dipende in maniera incontrollabile e patologica dalle scommesse, dal gioco d'azzardo o dallo shopping compulsivo.
venerdì 8 maggio 2009
Quali sono i problemi psichici più frequenti?
Le psicopatologie o disturbi psichici sono tutti quei problemi che influenzano la relazione che abbiamo con gli altri e con noi stessi, i pensieri, le sensazioni, le percezioni, le emozioni e i comportamenti. Variano per durata e intensità (possono essere disturbi lievi e transitori o problemi gravi e persistenti) e per gli effetti condizionanti più o meno significativi sulla vita delle persone, fino a causare addirittura una condizione di disabilità nei casi più gravi e duraturi.
I problemi psichici più comuni sono:
- i disturbi dell'umore (depressione, disturbo bipolare, ecc.)
- i disturbi d'ansia (fobie, attacchi di panico, ecc.)
- i disturbi dell'alimentazione (anoressia, bulimia, ecc.)
- i disturbi di personalità (narcisista, borderline, ecc.)
- le dipendenze patologiche (tossicodipendenza, alcolismo, dipendenza da gioco d'azzardo, ecc.)
- i disturbi sessuali e dell'identità di genere
- i disturbi psicosomatici (sintomi fisici in assenza di malattie o disfunzioni organiche)
- le psicosi (schizofrenia, disturbo delirante, ecc.)
NON C'E' SALUTE SENZA SALUTE MENTALE
L'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce la salute non la semplice assenza di malattia, ma uno "stato di completo benessere fisico, psichico e sociale". Gli antichi romani del mens sana in corpore sano avevano già questa visione olistica e comprensiva della star bene, eppure ancora oggi quando si parla di salute ci si focalizza prevalentemente sull'aspetto medico trascurandone invece gli aspetti psicologici.
I problemi di salute mentale, sempre secondo l'OMS, rappresentano il 20% delle malattie in Europa. Ciò significa che nel nostro continente una persona su quattro, durante il corso della vita, esperisce una qualche forma di disagio psichico. Non solo, ben quattro delle sei maggiori cause di disabilità sono riconducibili a problemi come depressione, schizofrenia, disturbo bipolare e abuso d'alcool e droghe.
Inoltre, le persone che soffrono di problemi psichici tendono a sviluppare malattie fisiche e la loro condizione di sofferenza, più di qualunque altro problema di salute, ne influenza e compromette le relazioni interpersonali e, di conseguenza, la qualità della vita.
Dati come questi meriterebbero l'attenzione prioritaria della politica e della società (e un adeguato stanziamento di fondi), invece la salute mentale continua ad essere un argomento diffusamente trascurato. Questo disinteresse generale verso il benessere psicologico ha come conseguenza l'arretratezza nella:
- CURA - nel 1978 la legge 833 ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale (in cui c'è un apposito Settore per la Salute Mentale) e la legge 180 ha chiuso i manicomi. Dopo trent'anni, con il blocco dei concorsi e i continui tagli, il Sistema Sanitario Nazionale si trova nell'impossibilità organica e strutturale di far fronte alle esigenze dell'utenza, il privato resta alla portata di pochi e i grandi ospedali psichiatrici, come anche alcune strutture residenziali, spesso replicano la realtà manicomiale, in condizioni anti-terapeutiche e contrarie ai diritti umani( vedi la puntata di Report del 3 maggio: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-033f9976-18a4-4bc4-a3f5-aa81d968993c.html?p=0). Il sistema di cura prevalente resta, nei fatti, quello tradizionale, centrato sul trattamento dei sintomi anziché sulle conseguenze esistenziali e sociali della malattia mentale. La complessità della problematica richiederebbe invece una rete di servizi capillare, integrata e accessibile a tutti che garantisse trattamento, riabilitazione, assistenza, oltre che prevenzione e promozione.
- PREVENZIONE - prevenire è meglio che curare, lo si sente dire spesso, ma è una massima che purtroppo trova scarsa applicazione nel campo del disagio psichico. Mentre è normale curare un'influenza perché non degeneri in una malattia più grave, si ha spesso la tendenza a trascurare i segnali di malessere e disagio psichico, causandone così un peggioramento o - nei casi più gravi e persistenti- una cronicizzazione. Il dolore fisico e la sofferenza psichica svolgono la stessa funzione di campanello d'allarme del nostro organismo: ci dicono che c'è qualcosa che non va e meritano la stessa identica considerazione.
- PROMOZIONE - si fa ancora troppo poco per diffondere la consapevolezza dell'importanza del benessere mentale, per sostenere le persone con disagio psichico e le loro famiglie e soprattutto per combattere lo stigma e la discriminazione sociale. Nessuna persona civile prenderebbe in giro un cardiopatico o un diabetico per la sua malattia; lo stesso dovrebbe valere per chi soffre di fobie, attacchi di panico o bulimia. Tante persone non vanno dallo psicologo perchè "è il medico dei matti", per paura di essere etichettate, additate e derise. Può capitare a chiunque di sentirsi ansiosi, angosciati o depressi e non solo non c'è nulla di cui vergognarsi in questo, ma se fossimo tutti più sensibili, tolleranti e solidali, creeremmo una società più civile, sana ed accogliente.
- capire innanzi tutto che non c'è salute senza salute mentale
- dare al benessere psicologico l'importanza che merita
- avere un atteggiamento comprensivo, rispettoso e non discriminante verso chi soffre di un qualche problema psichico
- ricercare e diffondere informazioni accurate e corrette per combattere l'ignoranza e lo stigma contro la sofferenza psichica
- trovandosi in uno stato di disagio, con sintomi di alterazione dell'umore, del pensiero, del comportamento o con problemi emotivi e relazionali che condizionano la propria quotidianità e persistono per più di due settimane rivolgersi ad uno psicologo il quale, se necessario, si avvarrà anche della consulenza psichiatrica per un eventuale sostegno farmacologico.
Iscriviti a:
Post (Atom)