mercoledì 13 maggio 2009

LA PREVENZIONE PSICOLOGICA NEL CICLO DI VITA III

  • PRIMA INFANZIA - i primi tre anni di vita sono fondamentali per lo sviluppo del sè. Da un punto di vista psicologico, quello che fa la differenza è il modo in cui ci si prende cura del neonato. Avendone cura, infatti, non solo si soddisfano i bisogni fisiologici del bebè (ad esempio la fame), ma soprattutto si trasmette un messaggio relazionale che incide sulla formazione del sé del bimbo. Noi impariamo e creiamo quello che siamo nelle relazioni con gli altri: è dall'essere stato toccato, accarezzato, cullato con amore che un bimbo impara cos'è l'affetto. I bambini hanno incredibili capacità ricettive, sono come delle "spugne" che assorbono tutto quello li circonda. Se un bambino respira amore, accettazione e rispetto nel suo ambiente, crescerà con fiducia e comprensione per se stesso e per gli altri. Se invece respira indifferenza, rabbia, violenza, allora crescerà triste, pieno di paure e sensi di colpa. Come esseri umani, noi nasciamo con una propensione intrinseca a relazionarci agli altri esseri umani. I neonati mostrano da subito chiare preferenze per gli stimoli sociali (voce umana, volti, carezze, ecc.). Addirittura a soli due giorni di vita sono già capaci di imitare le espressioni (come fare la lingua o sgranare gli occhi)dell'adulto che si relaziona con loro, sebbene nessun neonato di due giorni abbia la benché minima consapevolezza di avere occhi e bocca! La cosa più importante per il benessere psico-fisico dei bimbi è quindi il come ci si relaziona con loro. Per quanto riguarda l'alimentazione nei primi mesi, l'allattamento al seno è di gran lunga preferibile, sia per le proprietà ineguagliabili del latte materno, ma soprattutto perché rappresenta un'esperienza unica di grande intimità tra mamma e neonato. Pertanto l'allattamento dev'essere facilitato e incoraggiato, dando fiducia, sostegno e un aiuto pratico alle neo-mamme. La psicologia della sviluppo si è focalizzata molto sulla relazione madre-bambino, come relazione fondamentale per il benessere e lo sviluppo armonico del bebé, ma gli studi più recenti e innovativi, come ad esempio quelli della prof.ssa Fivaz dell'Università di Losanna, prendono in considerazione "il triangolo primario", ovvero la relazione a tre madre-padre-bambino. Questo approccio offre sicuramente una visione meno riduttiva dell'ambiente relazionale del bambino, per il cui benessere è importante non solo la relazione con la madre, ma anche quella con il padre. I cambiamenti socio-culturali che hanno "liberalizzato" le cure paterne ai bambini fin dalla primissima infanzia hanno infatti grandemente valorizzato la ricchezza e l'importanza del ruolo genitoriale maschile. Oltre al rapporto con madre e padre, un altro fattore determinante per il benessere infantile è la qualità della relazione tra i genitori. Quest'ultimo aspetto è molto importante e ha a che fare con il modo in cui padre e madre condividono la responsabilità genitoriale (ad esempio sostenendosi a vicenda, collaborando e partecipando attivamente per trovare soluzioni, oppure contraddicendosi e svalutandosi l'un l'altro o entrando in competizione). Ogni genitore è diverso dagli altri e ogni coppia crea insieme il proprio modo di vivere la dimensione della genitorialità. Occorre quindi pensare che non ci sono ricette pronte e valide per tutti, ma che ognuno deve costruire insieme al partner una modalità condivisa, coerente e armoniosa di rapportarsi ai figli nel ruolo del grande-che-si-prende-cura-del-piccolo. La chiarezza dei ruoli è fondamentale, soprattutto perché la relazione genitore-figlio è, per sua natura, una relazione asimmetrica. Non ci sono due persone sullo stesso piano, come nel caso di due amici, ma c'è un grande che dà e un piccolo che prende. Occorre tenere sempre a mente che ciò di cui i bambini hanno bisogno non sono genitori perfetti, ma, come diceva il famoso psicanalista inglese Donald Winnicott, "sufficientemente buoni". Ciò vuol dire che l'importante non è non commettere errori, ma sviluppare la consapevolezza e la capacità di riparare agli sbagli, rafforzando e facendo evolvere la relazione. Ricordatevi sempre che anche i genitori crescono insieme -e grazie- ai loro figli.
  • SECONDA INFANZIA - a partire dai tre anni, con la fase del "NO" e l'ulteriore sviluppo delle capacità senso-motorie, intelletive, linguistiche e relazionali, il bambino raggiunge una relativa autonomia. A quest'età si entra nella fase di sviluppo del sé narrativo, in cui cioé il bambino inizia a raccontarsi, a descriversi, a dire "io sono". Lo sviluppo infantile non è tanto il passaggio da uno stadio di crescita all'altro in tempi prefissati e uguali per tutti, ma è piuttosto, come sostiene Daniel Stern, un processo sinfonico, ovvero composto da diverse capacità che evolvono nel tempo interagendo ed influeanzandosi a vicenda in modo più o meno armonico. In particolare, lo sviluppo può essere definito come un processo olistico di cambiamento nel tempo che dipende dalle mutevoli e complesse interazioni tra fattori genetici (come la maturazione neurologica) e ambientali (quali l'apprendimento sociale, familiare e tra pari). Questo processo evolutivo si svolge in un contesto d'interazione dinamica e d'influenza reciproca tra l'organismo e l'ambiente. Dai tre ai sei anni l'importanza del gioco si fa sempre più pregnante e l'attività ludica del bambino si arricchisce con attività grafiche (dipingere, colorare, disegnare), immaginative ("facciamo finta che") e di socializzazione (gioco tra pari). Il gioco è un'attività fondamentale ed è importante che ai bambini venga lasciato il giusto tempo per dedicarcisi e che si offra loro la possibilità di variare le esperienze ludiche (giochi di movimento, di manipolazione, di esplorazione all'aria aperta). Anche lo sport a quest'età dovrebbe essere proposto come un gioco e praticato in compagnia di altri bambini, evitando forzature e spinte alla competizione. La curiosità è il motore dell'intelligenza e pertanto non dev'essere ostacolata. I bimbi sono spontaneamente curiosi di tutto ciò che li circonda, ma soprattutto sono curiosi di loro stessi, del loro corpo, di come sono fatti. Non c'è niente di malizioso, morboso né tantomeno perverso nel loro naturale desiderio di conoscersi, guardando, giocando e manipolando il proprio corpo. Tra i tre e i quattro anni i bambini iniziano inoltre ad acquisire il senso dell'identità di genere (a considerarsi cioé femmine o maschi) ed è perciò molto importante permettere loro la conoscenza e l'esplorazione del proprio corpo valorizzando in egual misura il sesso di appartenza del bambino o della bambina. Una corretta educazione sessuale ed affettiva parte proprio dal sostegno genitoriale a questo importante processo evolutivo di scoprirsi e riconoscersi maschietto o femminuccia. Per quanto spesso i genitori tendano a rimandare l'educazione affettiva e sessuale dei loro figli, in questo frangente prima s'inizia e meglio è. Insegnare ai bimbi a conoscere, amare e rispettare il proprio corpo senza vergognarsene, è di basilare importanza per il rispetto di sé. Naturalmente le informazioni e il linguaggio utilizzato devono essere appropriati all'età e alle domande dei bambini. L'educazione affettiva dei maschi è un aspetto molto trascurato dall'educazione tradizionale, ma merita un'attenzione particolare perché è la migliore forma di prevenzione contro possibili futuri comportamenti violenti (es. bullismo) oltre che lo sviluppo di disturbi psico-somatici e relazionali. Per quanto riguarda l'educazione affettiva e sessuale, genitori, nonni e insegnanti devono fare molta attenzione a non cadere in pregiudizi limitanti la libera e spontanea espressione di sé. Ad esempio, dicendo "i maschi non devono aver paura" si fa sentire "sbagliato" un bambino spaventato, colpevolizzandolo perché sente quel che sente, quando invece è perfettamente normale che i bimbi - maschi e femmine- abbiano delle paure. Sicuramente è molto più utile insegnare ai bambini a riconoscere le proprie emozioni e ad affrontare le proprie paure, dando loro affetto, sostegno e soprattutto il buon esempio. Il genitore triste o arrabbiato che, per non farlo preoccupare, dice al figlio "sto benissimo", in realtà dicendo così lo sta ingannando e confondendo, oltre a far passare il messaggio implicito che la rabbia o la tristezza sono innominabili persino con le persone più care. Ammettere il proprio stato d'animo in modo pacato, dicendo semplicemente "sì, è vero oggi sono un po' triste, capita anche ai grandi, ma dopo un po' mi passa" è molto più educativo e rasserenante. Anche perché i bambini sono molto sensibili e capaci di capire molto più di quanto gli adulti siano propensi a credere. I bambini sono sinceri e affamati di verità: se avete un'odore sgradevole vi diranno che puzzate, se avete una gamba di legno non faranno finta di niente, ma vi chiederanno incuriositi "e quella vera dove l'hai messa?". I genitori sono il primo specchio dei figli ed è dal loro modo di essere, ancora più che dalle loro parole che i bambini imparano a strutturare i propri vissuti e ad attribuire significati all'esperienza e al mondo che li circonda. La relazione deve sempre partire dal rispetto e dal riconoscimento delle emozioni, della realtà, dell'altro. Altrimenti si rischia di manipolare, mistificare, confondere. Il bambino sarà anche piccolo, ma è una persona e come tale va ascoltata e rispettata nei suoi bisogni e nelle sue emozioni. I disturbi comportamentali nell'infanzia emergono spesso nei momenti di crisi (inserimento a scuola, trasloco, nascita di un fratellino, ecc.) e sono sempre sintomatici di un disturbo relazionale. I bambini vivono ed esprimono le emozioni con tutto il corpo e quindi il corpo diventa il canale per esprimere e comunicare un disagio. I disturbi comportamentali infantili vengono definiti come la perdita parziale di una capacità acquisita in precedenza. Hanno quindi una valenza regressiva (esprimono cioè il bisogno del bambino di non crescere e di sentirsi piccolo per essere protetto e amato). I più frequenti sono: enuresi (la perdita involontaria dell'urina in bambini che hanno già acquisito il controllo sfinterico), che può essere notturna ("fare la pipì a letto") e diurna, encopresi (perdita del controllo dello sfintere anale con ritenzione fecale alternata all'emissione involontaria delle feci), onicofagia ("mangiarsi le unghie"), succhiarsi il pollice in bambini maggiori di 2-3 anni, balbuzie (disturbo nel ritmo di emissione del linguaggio con la ripetizione di alcune sillabe) in età scolare, iperattività associata a turbolenza e deficit dell'attenzione, anoressia (disturbo del comportamento alimentare che si manifesta nel rifiuto del cibo). Di questi, l'enuresi, l'onicofagia e la suzione del pollice sono i disturbi più frequenti e meno gravi, che si risolvono mostrando tolleranza e comprensione al bambino che fa la pipì a letto, evitando rimproveri e umiliazioni; fornendo al bimbo che si mangia le unghie una valvola di sfogo per esprimere la sua aggressività e a quello che si succhia il pollice più attenzione, affetto e comprensione. La balbuzie nei bambini dai 6 anni in su è determinata quasi sempre da difficoltà psicologiche come ansia, insicurezza e iperemotività e si cura abbinando a un intervento psicoterapeutico la logopedia. Nei casi invece d'instabilità psicomotoria, encopresi e enuresi, soprattutto diurna, in bambini già grandi è bene rivolgersi a uno specialista per una psicoterapia che coinvolga anche la famiglia. L'anoressia nervosa è un disturbo abbastanza raro nella prima infanzia. Quando si presenta in un neonato o dopo lo svezzamento, è sempre consigliabile chiedere un consulto specialistico sia ostetrico e/o pediatrico che psicologico. In casi così precoci l'intervento psicoterapeutico è rivolto alla madre o alla coppia genitoriale anziché al bambino.

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