martedì 29 settembre 2009

COME COMPORTARSI CON LE PERSONE SORDE?

Ecco un elenco di suggerimenti per facilitare i rapporti con persone sorde o deboli d'udito:
  • oggi i sordi non sono più necessariamente anche muti, tenete presente che i "sordoparlanti" possono imparare anche le lingue straniere
  • il vocabolario dei sordoparlanti è limitato, quindi non usate sottigliezze linguistiche per non metterli in difficoltà
  • preferite concetti chiari e frasi semplici
  • non parlate mai in dialetto
  • tenete presente che i baffi o il tenere la mano davanti alla bocca quando si parla ostacolano la lettura del labiale
  • non parlate a voce alta; è sufficiente parlare in modo chiaro, senza scandire le parole in maniera esagerata
  • non parlate troppo in fretta, né troppo lentamente
  • la mimica facciale è un aiuto alla comprensione, ma esagerarla è inutile e ridicolo
  • in presenza di un sordo, non parlate di lui con altri, potrebbe fraintendere
  • cercate di farlo partecipare alle conversazioni in gruppo
  • la sordità è una menomazione invisibile e i sordi cercano di nasconderla, magari facendo un cenno di assenso anche se non hanno compreso ciò che è stato detto, perciò abbiate cura voi di accertarvi che la persona sorda abbia effettivamente capito
  • ricordate che i sordi non possono seguire contemporaneamente il movimento del labiale e l'esecuzione di un'azione, perciò prima fate e poi spiegate
  • incoraggiate chi sente poco ad avvalersi di ogni ausilio disponibile (apparecchi acustici, logopedia, terapie d'ascolto)
  • chi non sente deve concentrarsi di più a seguire il filo del discorso e tende a stancarsi se la conversazione è lunga e ininterrotta, meglio fare delle pause
  • sul lavoro abbiate cura che il sordo riceva correttamente tutte le informazioni necessarie
  • le persone sorde parlano senza modulare la voce e mostrarsi infastiditi o, peggio, divertiti dal loro tono insolito è un gesto di grande insensibilità e mancanza di rispetto
  • se incontrate o conoscete una persona sorda, fermatevi a parlare con lei, spesso per il reciproco disagio davanti alle difficoltà comunicative, udenti e non tendono a evitare di parlarsi
  • tenete presente che le persone sorde vedono e avvertono con straordinaria sensibilità ciò che non sentono
  • ricordate che, proprio come per le persone udenti, anche per i sordi vale più un sorriso o un gesto amichevole di mille parole
  • ognuno di noi ha bisogno di contatto umano e della possibilità di parlare ed esprimere i propri sentimenti; essere socievoli e disponibili con i sordi aiuta a evitare che si isolino

COME COMPORTARSI CON I DISABILI MOTORI?

Ecco un elenco di suggerimenti per facilitare i rapporti con persone aventi una qualche menomazione fisica:
  • in generale, più si è spontanei e più tutto diventa semplice
  • trattate la persona in carrozzella da pari a pari
  • non fare mai nulla senza prima chiedere al disabile cosa desidera
  • chi ha menomazioni alle mani ha bisogno di aiuto solo in azioni particolari come stappare una bottiglia o aprire una lattina
  • evitare di rivolgersi a un disabile motorio con eccessiva familiarità e dandogli del tu anche se adulto, insomma, non trattatelo come un bambino (ricordate che il più grande scienziato al mondo è tetraplegico!)
  • evitare di parlare del disabile a terzi in sua presenza, anziché rivolgersi direttamente a lui/lei
  • ignorare il disabile è un gesto incivile che ferisce profondamente chi lo subisce
  • evitare di rivolgersi principalmente o solo al suo accompagnatore
  • se accompagnate un disabile, evitate atteggiamenti troppo protettivi
  • i veicoli parcheggiati sui marciapiedi o in prossimità degli scivoli rappresentano un pericoloso ostacolo, se non addirittura una barriera per i disabili motori
  • se parlate a lungo con una persona in carrozzina è preferibile che vi sediate alla sua stessa altezza
  • a una persona che necessita del bastone o delle stampelle per camminare offrite il vostro aiuto solo se richiesto o in caso di evidente bisogno
  • dire sempre "lascia, faccio io" o porgere di continuo la mano fa sentire la persona più limitata di quanto non sia in realtà
  • ricordate che le persone disabili hanno molte più risorse e capacità di quante siamo abitualmente disposti a credere
  • non stupitevi se una persona in sedia a rotelle vive sola, grazie a veicoli adattati e ad altri accorgimenti abitativi, oggi moltissimi disabili motori sono perfettamente indipendenti
  • per la strada spingete la carrozzina con prudenza per evitare di urtare altre persone, il disabile ne sarebbe mortificato
  • il bastone, le stampelle o la carrozzina sono vissuti dal disabile come un prolungamento del sé, è bene quindi maneggiarli e riporli con la massima cura
  • nell'attraversare una strada trafficata e nel superare i gradini una persona su sedia a rotelle si sente completamente nelle mani dell'accompagnatore: una discesa rapida diventa un incubo

COME COMPORTARSI CON UN CIECO?

Ecco un elenco di suggerimenti per facilitare i rapporti con una persona cieca o ipovedente:
  • salutatelo chiamandolo per nome e dicendogli chi siete
  • i ciechi riconoscono le persone dalla voce e "vedono" con il tatto, se volete che sappia che faccia avete, lasciatevi toccare
  • ricordate che non vede gesti e sorrisi e che dovete esprimervi a parole, spiegando le comunicazioni implicite
  • non prendete un cieco per un braccio per guidarlo, piuttosto offritegli il vostro
  • avvisatelo quando si sta per attraversare la strada e in prossimità di gradini e marciapiedi
  • non allontanatevi mai senza preavviso o un saluto
  • avvicinandovi a un cieco, fatevi notare per tempo
  • nel dargli qualcosa, chiamatelo per nome e toccatelo leggermente
  • non seguitelo con l'apprensione di aiutarlo a tutti i costi
  • per offrirgli un posto a sedere, è sufficiente fargli poggiare la mano sullo schienale della sedia
  • quando deve salire in macchina, fategli posare la mano sul bordo superiore della portiera aperta
  • quando deve salire sul treno o sull'autobus, mettergli una mano sulla maniglia o il corrimano e avvisarlo del numero dei gradini o se il gradino è particolarmente alto
  • non distraete un cane guida dal suo compito con richiami/carezze
  • a tavola con un cieco spigategli cosa c'è nel piatto e qual'è la disposizione dei cibi, indicategli il bicchiere ed evitate di riempirglielo troppo
  • se dovesse perdere l'orientamento o trovarsi in un luogo sconosciuto, basta elencargli cosa gli sta davanti, dietro, a destra e a sinistra, evitando inutili "qui" e "là"
  • per un cieco l'ordine è fondamentale, ogni cosa va tenuta al suo posto e bisogna avvisarlo se qualcosa in un ambiente noto è stato spostato
  • i veicoli parcheggiati sul marciapiede rappresentano un pericoloso ostacolo per i ciechi
  • rivolgetevi a lui/lei con la massima naturalezza, senza preoccuparvi di evitare espressioni come "arrivederci"
  • in generale, chiedete se potete essergli d'aiuto e lasciate che sia lui/lei a dirvi cosa gli/le serve

PREVENZIONE

Il termine prevenzione ha due significati; esso definisce infatti sia la possibilità di ipotizzare in anticipo l'eventualità di un evento dannoso, evitando che possa accadere, sia l'essere prevenuti verso qualcosa o qualcuno, ovvero averne a priori una considerazione negativa, cioé un pregiudizio. Come è noto, i pregiudizi, che connotano negativamente qualcosa o qualcuno che ancora non si conosce, possono essere eccessivi e -è bene ricordarlo- gli eccessi di prevenzione sono anch'essi dei rischi. Si possono distinguere tre livelli di prevenzione:
  • primaria - comprende le azioni volte a diminuire l'incidenza di un evento dannoso (ad esempio una malattia) in una popolazione
  • secondaria - comprende le azioni volte a ridurre la densità e la gravità di un evento dannoso
  • terziaria - comprende tutte le azioni utili per diminuire gli effetti cronici o a lungo termine di un evento dannoso

lunedì 28 settembre 2009

ANORESSIA (tre acrostici)

ANORESSIA

I

Ansiosa assenza di morso carnale -

Noia d’essere corpo

O no: d’essere un’in-carnata essenza che (senza carne)

Raminga làtita – appassisce – soffoca - muore

E muore di non morire:

Solo spolparsi vuole – vuota di cibo - di cibo

Svuotata – magrezza delle membra - persona

Indiàta - mistica – sublimata - niente

Agognante – di niun cibo affamata

II

Anoressica mente – anoressico corpo mentre

Niente vuol crescere – vuol prendere pondo

Onerato di cibo: mangiare No!

Rifiuto sempiterno – discordia - inimicizia

E guerra senza quartiere – senz’armi – senza scampo

Se solo s’avvicina alle fauci un boccone nemico -

Se solo un piatto avanza verso labbra

Infingarde e le minaccia – le coarta

A nutrizione violenta - intollerabile

III

Anch’io (tempo remoto) titubavo – incarnavo rifiuti - dicevo

“No!” alle sorde cibarie – d’un Cibo solo mi cibavo: all’altro

Ostile m’esaltavo (zitta) nel No!

Renitente alla leva che chiamavano “vita”

E che - per burla - dichiaravano essi “maturità” – semplice sede di

Sospetti e perdite – digestiva fatica senza volo - assimilato

Sparso cibo - morte di leggerezza – fine d’ogni

Ilarità possibile senza gioco né scopo che non sia – che non fosse

Altissima pastura d’un altro Sé – se vita non vuole giocarsi.

Mariella Bettarini

venerdì 25 settembre 2009

RISVOLTI PSICOLOGICI DELLA CELIACHIA

La celiachia è una condizione geneticamente determinata, caratterizzata da intolleranza permanente al glutine di frumento e alle proteine corrispondenti di segale e orzo. Si tratta di una malattia cronica largamente diffusa in tutto il mondo con un quadro clinico e sintomatologico molto complesso che comprende numerosi disturbi soprattutto a livello intestinale. Negli ultimi anni l'interesse scientifico e non per la celiachia è cresciuto in maniera esponenziale, portando a nuovi metodi di diagnosi e cura, ma anche a una maggiore sensibilizzazione dell'opinione pubblica e una diffusione più capillare dei prodotti senza glutine. Tuttavia, le implicazioni psicologiche dell'essere celiaci vengono spesso trascurate, nonostante gli aspetti emotivi e relazionali siano di primaria importanza per il benessere di ognuno. La celiachia non è causa di disturbi psichici o psichiatrici, intendiamoci, né essere celiaci provoca automaticamente disagio. Sta di fatto però che la diagnosi di celiachia, così come tutti i cambiamenti, porta necessariamente a una riorganizzazione delle proprie abitudini e a una parziale ridefinizione di sé e del proprio universo di relazioni. Non dimentichiamoci che la celiachia è una malattia cronica, il cui impatto sulla salute delle persone, se ben diagnosticata e curata, è minimo, ma comunque irreversibile. Una volta individuata la celiachia, infatti, la dieta senza glutine (che rappresenta la principale azione di cura) dovrà essere scrupolosamente seguita per sempre, con tutti i problemi che questo comporta, primo fra tutti quello della "contaminazione". I celiaci non solo non possono ingerire alimenti che contengano glutine, ma non possono nemmeno cucinare o conservare cibo "consentito" in pentole o contenitori che sono entrati in contatto con questa sostanza. Prestare continuamente attenzione alla propria dieta e a tutti i processi di preparazione, cottura e conservazione del cibo, in casa e fuori, è un impegno mentale oneroso e pertanto stressante. E l'ignoranza di chi dice che "tanto per una volta non succede nulla" o l'insensibilità di chi non si pone nemmeno il problema di certo non aiuta. Il mio docente di psicologia generale all'università diceva che
"noi non mangiamo, noi ci alimentiamo",
intendendo con questo che l'alimentazione ha oltrepassato la necessità biologica ed è entrata a pieno titolo nella dimensione culturale, ovvero in ciò che connota e distingue i diversi gruppi umani. La dieta senza glutine, che i celiaci devono seguire a vita, condiziona non solo le loro abitudini alimentari, ma anche quelle relazionali e sociali. Il pasto, consumato in casa o fuori, è infatti un momento di convivialità e socializzazione che appartiene alle abitudini familiari o alla ritualità collettiva
(colazione al bar, aperitivi, feste, cene in ristorante, ecc.). Ad esempio, la tipica abbinata pizza e birra è deleteria per un celiaco, oppure la torta di compleanno di un amichetto o un semplice panino. Il cibo ha una valenza sociale, emotiva e simbolica molto importante e modificare la dieta significa cambiare non solo le abitudini alimentari di una persona, ma anche quelle relazionali, ecco perché la celiachia non è semplicemente una questione di dieta. La prima implicazione a livello psicologico da considerare è l'impatto emotivo della diagnosi, che, soprattutto all'inizio, può manifestarsi con:
  • inquietudine, ansia, vergogna, "sentirsi un peso"
  • irritabilità, flessione dell'umore o difficoltà a esprimere le emozioni
  • preoccupazione, non accettazione dei cambiamenti, sconforto
  • nei bambini: svogliatezza a scuola e aggressività verso i compagni
Le difficoltà di accettazione della diagnosi, con la conseguente ridefinizione di sé, possono portare a due diverse reazioni: il ritiro sociale (accompagnato da un abbassamento del tono dell'umore) e la trasgressione alla dieta senza glutine. Entrambi molto frequenti negli adolescenti (per cui convivere con la celiachia appare particolarmente problematico) sono due modi di reagire all'insofferenza di sentirsi diversi e sotto il continuo controllo dei familiari. Genitori, partners e amici giocano un ruolo fondamentale sia nella condivisione pratico-logistica che nel supporto e nella condivisione emotiva di quotidiana convivenza con la celiachia. Qualora si renda necessario l'intervento di uno psicologo, è bene rivolgersi a un professionista preparato sulle tematiche specifiche, che aiuti la persona e la sua famiglia ad accettare la malattia e ad affrontare i cambiamenti ad essa conseguenti con un sostegno psicologico mirato a contenere l'ansia, esprimere i propri vissuti e aumentare la consapevolezza di sé.

giovedì 17 settembre 2009

LIBRI DA LEGGERE

Nietzsche affermava che gli scrittori fossero i migliori esperti di psicologia ed è sicuramente innegabile il ruolo della letteratura nel raccontare sentimenti, pensieri, sogni, emozioni esplorando le profondità della nostra mente. Le letture segnalate di seguito non sono che ulteriori e recenti esempi della profondità d'indagine psicologica che scrittori e poeti non smettono di offrirci. Buona lettura.
La prima segnalazione è per "Pelle", opera prima dell'esordiente Fabrizio Demaria, appena uscita per la Libreria Editrice Urso. Si tratta di una raccolta di racconti brevi e taglienti, venti storie estreme di sofferenza, forza, umanità e follia, raccontate dall'autore (un giovane psicologo) con intensità, sentimento e profonda comprensione per la fragilità umana. La pelle del titolo è l'organo che delimita, fisicamente e psicologicamente, ciò che siamo, permettendo la distinzione tra un dentro e un fuori di noi. La sofferenza mentale rende questo confine inconsistente, come se si fosse senza pelle, o impenetrabile, come se la pelle fosse una barriera che chiude fuori il mondo. E' uscito in Italia, edito da Rizzoli, un romanzo che è diventato un caso editoriale negli Stati Uniti: "Il giorno in cui mia figlia impazzì" di Micheal Greenberg. Al centro della vicenda, basata su una storia vera, c'è il rapporto di uno scrittore newyorkese con la figlia adolescente e di come tutta la vita dei protagonisti cambi quando la ragazza inizia a soffrire di un disturbo bipolare. L'intrusione di questo "ospite inatteso" sarà l'uragano che spazza via la normalità del quotidiano e che pone al padre la sfida di capire una malattia che gli sembra incomprensibile e misteriosa. Sempre delle edizioni Rizzoli, il secondo libro che vorrei consigliare è "Dove andiamo papà?" dell'umorista francese Jean-Louis Fournier. L'autore racconta la storia autobiografica dei suoi due figli "venuti male", Mathieu e Thomas, nati a qualche anno di distanza l'uno dall'altro e presto rivelatisi incapaci di crescere, muoversi, comunicare come tutti gli altri. Con questo piccolo libro pieno d'ironia, dolcezza e crudeltà, l'autore fa piazza pulita di tabù e pregiudizi, per restituire ai suoi figli, amatissime e misteriose creature "dalla testa piena di paglia", tutta l'umanità e la dignità che spetta loro. Vorrei segnalare infine il libro "Siamo speciali" di Paola Viezzer dedicato ai più piccoli ed edito dalla Erickson. Dieci storie educative e divertenti, accompagnate da deliziose illustrazioni, con l'intento pedagogico di spiegare ai bambini temi come la cecità, la sindrome di Down, la celiachia, il diabete, la disabilità fisica, aiutandoli a capire e a non giudicare le diversità con un linguaggio semplice e la leggerezza delle fiabe.

mercoledì 16 settembre 2009

LOVE ADDICTION

Amare è come una droga: all'inizio viene la sensazione di euforia, di totale abbandono. Poi il giorno dopo vuoi di più. Non hai ancora preso il vizio, ma la sensazione ti è piaciuta e credi di poterla tenere sotto controllo. Pensi alla persona amata per due minuti e te ne dimentichi per tre ore. Ma, a poco a poco, ti abitui a quella persona e cominci a dipendere da lei in ogni cosa. Allora la pensi per tre ore e te ne dimentichi per due minuti. Se quella persona non ti è vicina, provi le stesse sensazioni dei drogati ai quali manca la droga. A quel punto, come i drogati rubano e s'umiliano per ottenere ciò di cui hanno bisogno, sei disposto a fare qualsiasi cosa per amore. Paulo Coelho
Queste parole, pronunciate dalla protagonista del romanzo "Sulla sponda del fiume Piedra mi son seduta e ho pianto", rappresentano un'amara equiparazione tra amore e dipendenza affettiva (in inglese love addiction). In realtà (e per fortuna!) c'è una bella differenza tra un sano sentimento amoroso e una patologica dipendenza affettiva. Il criterio fondamentale per operare questa distinzione è la qualità della relazione di coppia. Tanto una relazione sana agevola la crescita di sé, dona piacere, pienezza e gioia di vivere, sviluppando intimità e senso di appartenenza, tanto una patologica è invece dolorosa, umiliante, insoddisfacente e autodistruttiva. Il rapporto di dipendenza affettiva è conflittuale, segnato da incompatibilità, mancanza di rispetto e di condivisione di progetti, bisogni e desideri, ma percepito come ineluttabile. Il vissuto tipico è quello di una relazione ostile e infelice dalla quale però non sia possibile venire fuori. Si tratta di una dipendenza a tutti gli effetti accompagnata da sintomi caratteristici:
  • compulsività - c'è un bisogno impellente di vedere l'amato/a e di comunicare con lui/lei in ogni modo
  • inappetenza - mancanza di appetito, irregolarità nei pasti che può degenerare in anoressia
  • insonnia - persiste uno stato d'ansia e agitazione continua
  • ciclotimia - alternanza dell'umore tra stati d'animo opposti
  • proiezione - l'amato/a viene idealizzato/a proiettandovi i propri bisogni e aspettative
  • percezione alterata del tempo e dello spazio - la vita della persona dipendente ruota intorno al bisogno morboso di vedere o sentire di continuo l'amato/a e di conoscere tutti i posti che frequenta che può portare al controllo paranoico o allo stalking
Le dipendenze affettive riguardano uomini e donne, di orientamento omo o eterosessuale. La casistica più nota è quella femminile perché le donne fanno ricorso più facilmente a un percorso terapeutico. Uscire dalla dipendenza emotiva è possibile, grazie soprattutto alla consapevolezza e all'accettazione dei propri bisogni e al mettere al centro delle proprie relazioni la chiarezza, la spontaneità e il rispetto. Per questo può essere utile farsi aiutare da un professionista individualmente o in un gruppo di auto-mutuo-aiuto. Per saperne di più: Robin Norwood, Donne che amano troppo, Feltrinelli, 1989

BILINGUI E' MEGLIO

E' opinione molto diffusa che l'apprendimento simultaneo di due lingue nei bambini in tenera età sia confusivo e controproducente. Non solo, ma si pensa che il bilinguismo, soprattutto nel caso di figli di coppie miste e di immigrati di seconda generazione, sia addirittura un ostacolo nell'integrazione con i coetanei che si esprimono nella lingua maggioritaria del paese di residenza. Numerosi studi di psicologi ed esperti di didattica e sviluppo del linguaggio dimostrano invece che nei primi tre anni di vita, il cervello del bambino è perfettamente in grado di assimilare senza sforzo due lingue come "lingue madri". Le immagini ottenute con la risonanza magnetica funzionale mostrano infatti che nei bambini entro i tre anni le regioni cerebrali attivate all'ascolto della lingua della famiglia e di quella del paese dove vivono sono perfettamente sovrapposte. Non solo, il bilinguismo si accompagna anche a una maggiore flessibilità, competenza comunicativa e una migliore predisposizione anche verso altri apprendimenti. Per saperne di più: Il bambino bilingue, di Barbara Abdelilah-Bauer, Raffaello Cortina editore, Milano, 2008.

ADDIO A JERVIS

Durante la pausa estiva, ed esattamente il 3 agosto, moriva a 76 anni nella sua casa romana Giovanni Jervis, uno degli esponenti più illustri della psicologia italiana. Nato a Firenze nel 1933, quando aveva solo undici anni il padre venne catturato e ucciso dai nazisti. Professore di Psicologia dinamica alla Sapienza di Roma dal 1977, psichiatra e psicanalista freudiano, nella sua lunga e illustre carriera Jervis aveva collaborato con personalità scientifiche di spicco come l'etnologo Ernesto De Martino e lo psichiatra Franco Basaglia. Jervis ammirava il padre dell'antipsichiatria italiana, colui che fece chiudere i manicomi, ma era assai critico sul modo in cui venne applicata la legge che ne porta il nome. Denunciò pubblicamente "il dilagare degli psicofarmaci" e degli opedali privati "sovvenzionati e non migliori di quelli pubblici" che la miope applicazione della 180 aveva prodotto, ma soprattutto le condizioni di "migliaia di persone abbandonate a loro stesse": i malati psichiatrici e le loro famiglie. Affiancò la pratica clinica e accademica ad un'intensa attività editoriale, pubblicando numerosi volumi tra i quali ricordiamo:
  • Manuale critico di psichiatria, Feltrinelli, Milano, 1975;
  • Il buon rieducatore, Feltrinelli, Milano, 1977;
  • Presenza e identità, Garzanti, Milano, 1984;
  • La psicoanalisi come esercizio critico, Garzanti, Milano, 1989;
  • Fondamenti di psicologia dinamica, Feltrinelli, Milano, 1993;
  • Sopravvivere al Millennio, Garzanti, Milano, 1996.
Da parte mia e di quanti ne studiarono l'opera e ne apprezzarono l'onestà intellettuale, l'acume clinico e la profondità umana
grazie professore.